Che cosa possiamo aspettarci dal Festival? È giusto avere delle aspettative alte in Sanremo 2025 o sarà meglio volare basso e non restare così delusi?
Il Festival di Sanremo del 2025 viene visto da molti come una sorta di capitolo interlocutorio tra ciò che è stato e ciò che sarà. I cinque anni con la trionfale conduzione di Amadeus sono molto difficili da replicare, e pretendere questo da Carlo Conti sarebbe alquanto ingeneroso ed irrealistico, nonostante le indubbie capacità del navigato conduttore televisivo di Firenze.
Il buon Carlo è comunque uno che sa il fatto suo, che conosce già la platea sanremese (ha già condotto il Festival in passato, n.d.r.) e sa come portare a casa buoni risultati. Non è un caso che sia uno degli uomini forti della Rai da mandare sullo schermo in qualsiasi occasione.
Dai quiz show al varietà, passando anche per piacevoli excursus come Lo Zecchino d’Oro, a Carlo Conti la dirigenza Rai aveva pensato ad un certo punto in merito al Festival 2025, ed anche a quello 2026. Dopo l’addio di Amadeus, passato a Warner Bros, uno dei crucci immediati in viale Mazzini era costituito proprio dall’incertezza su chi affidare Sanremo.
Ci sono alcuni motivi per pensare che Carlo Conti però potesse non essere la prima scelta. Anzitutto la tempistica dell’annuncio, arrivato verso la fine di maggio. E quando, con tutta probabilità, ci saranno stati dei sondaggi per altre figure. Mai come quest’anno erano stati fatti tanti nomi, da Stefano De Martino ad Antonella Clerici, passando per il duo Paola Cortellesi-Laura Pausini, ed altri ancora.
Si era persino parlato di Gigi D’Alessio e di Morgan come conduttori e direttori artistici di quello che è il principale evento musicale in Italia. Invece la scelta è caduta su Carlo Conti, ma solamente per due edizioni. anche questo fa pensare che la Rai voglia studiare un modo per riaprire un ciclo lungo e vincente sulla falsariga di quanto accaduto tra il 2020 ed il 2024 con Amadeus.
E poi, a giudicare dai cantanti in gara, con Conti sarà un Festival di Sanremo 2025 poco innovativo ed alquanto conservativo. Un po’ in ottica usato sicuro. L’unico cambiamento di rilievo è stato ampliare il novero da 24 artisti a 30. Vuol dire che sicuramente andremo a letto tardi, nelle serate che andranno dall’11 al 15 febbraio prossimi.
Magari qualcuno si aspettava il ritorno di Al Bano, e persino dei Jalisse. Anche in questo, Carlo Conti segue il solco tracciato da Amadeus, escludendo sia l’uno che gli altri. I Jalisse però sono bravi bravi, ed è pazzesco pensare che loro provino da 28 anni consecutivi a tornare all’Ariston, sempre senza riuscirci.
Ed Al Bano? Lui è un totem della canzone italiana, ma non è certo la rappresentazione della innovazione. Se ci fosse stato, avrebbe garantito ben altro di buono. Dispiace che non ci sia, nonostante abbia proposto tre brani a Carlo Conti. Alla fine dei conti comunque si avverte una certa stagnazione creativa.
Con un numero di partecipanti che è salito a trenta, la selezione di artisti sembra volere riflettere una ampia richiesta da parte delle case discografiche, ma solleva interrogativi sulla freschezza dei nomi proposti. Tra le conferme, spiccano alcuni grandi nomi del panorama musicale italiano, molti dei quali hanno già calcato il palco dell’Ariston in passato.
Mentre la presenza di rapper e artisti pop continua a crescere, ci si interroga sulla reale novità che questi artisti possono portare al Festival. Conti ha promesso che i rapper non si limiteranno a fare rap, ma sarà interessante vedere come questa affermazione si tradurrà in musica. Di certo sarebbe bello vedere quanto più limitato possibile l’utilizzo dell’autotune, che è uno strumento che imbruttisce enormemente i brani.
Tra i nomi annunciati ci sono artisti come Fedez e Tony Effe, la cui partecipazione genera un certo hype, ma la mancanza di innovazione è palpabile. Le aspettative verso artisti come Brunori Sas, Lucio Corsi e Joan Thiele, che hanno dimostrato di avere qualcosa di nuovo da dire, sono elevate. Tuttavia, la presenza di questi cantautori non basta a compensare la sensazione di déjà vu che permea il Festival.
La stagione dei rapper continua con artisti come Shablo e Guè, che si uniscono a una schiera di colleghi già ben noti. La loro inclusione rappresenta un tentativo di attrarre un pubblico più giovane, ma solleva dubbi su quanto realmente possano innovare in un contesto già affollato.
L’assenza di vere sorprese nel cast di quest’anno è evidente. Con artisti che si sono già affermati negli scorsi anni, come Giorgia e Rkomi, si perde l’occasione di esplorare nuove sonorità e voci emergenti. Anche se il livello tecnico degli artisti è indubbio, la sensazione è che il Festival stia diventando un palcoscenico per il consolidamento di carriere già avviate piuttosto che un trampolino di lancio per nuove idee.
Il Festival di Sanremo è sempre stato un punto di riferimento per la musica italiana, ma quest’anno si avverte una certa nostalgia per i tempi in cui il palco era un vero laboratorio di innovazione musicale. Ed è chiaro che la pressione delle case discografiche e dei sponsor influisce sulle scelte artistiche. Ci si chiede se il Festival abbia il coraggio di rischiare e di spingersi oltre i confini della consuetudine. La musica, dopo tutto, è un’arte che prospera nel cambiamento e nella sorpresa.
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